C’è stato un momento preciso in questo viaggio in Lapponia, era l’ultima notte ed ero con il gruppo vicino a Levi, avevamo le ciaspole ai piedi e la neve copriva tutto, eravamo sopra un lago, sotto di noi c’era un metro di ghiaccio e poi appunto la neve, tantissima neve e il cielo era di un bizzarro verde scuro, dietro alle nuvole c’era un’aurora boreale fortissima ma noi vedevamo solo una coltre del colore di quei loden che usavano i nonni tanto tempo fa e a un certo punto ci siamo seduti nella neve con gli occhi puntati verso l’infinito - sembrava davvero di essere in mezzo al nulla, che assurdità pensare di essere in mezzo al nulla quando c’è così tanta natura attorno, come se avessimo bisogno del cemento per sentirci in mezzo a qualcosa - e allora ho detto «Vi leggo un pezzo de Il richiamo della foresta*».
Di tanto in tanto Buck incontrava qualche cane del Sud, ma perlopiù erano husky che appartenevano alla selvaggia razza dei lupi. Ogni notte, regolarmente, alle nove, alle dodici e alle tre, innalzavano un canto notturno bizzarro e lugubre, al quale Buck si univa con voluttà. Con l’aurora boreale che fiammeggiava freddamente in cielo, o le stelle che tremolavano nella danza del gelo, e la terra intorpidita e ghiacciata sotto il suo manto di neve, quel canto degli husky sarebbe potuto essere una sfida alla vita, senonché era modulato in una tonalità minore, con lunghi mugolii e mezzi gemiti, ed era piuttosto una supplica alla vita, la voce della fatica dell’esistenza. Era un canto antico, antico come la razza stessa, uno dei primi canti del giovane mondo, quando i canti erano tristi. In quel lamento da cui Buck era commosso in modo così misterioso risuonava la pena di innumerevoli generazioni. Quando lui si lamentava e gemeva, era con la pena di vivere che era stata l’antica pena dei suoi padri selvaggi, e con la paura e il senso del mistero del gelo e del buio che erano stati la loro paura e il loro senso del mistero. E che egli ne fosse commosso sanciva la compiutezza con cui, attraverso le ere del focolare e del tetto, era risalito fino ai grezzi primordi della vita, nelle età degli ululati.
Ho smesso di leggere e in quell’attimo di silenzio il vento mi ha accarezzato il volto, era un vento gelido e gentile che arrivava da molto lontano, ed era un vento che sembrava parlare.
E ho pensato a queste terre in cui vivere non è facile, in cui vivere non è banale, in cui per vivere devi trovare delle soluzioni perché attorno hai una natura amorevole e spietata, il Sapmi, la terra dei Sami - che noi chiamiamo Lapponia - e le sue temperature glaciali per quattro mesi all’anno, ma anche il Giappone e il suo 70% di territorio ricoperto da foreste, il suo continuo tremare e i suoi vulcani attivi.
Non è un caso - ho pensato - che i Sami venerino la natura, la venerano perché la temono, e non è un caso che lo Shintoismo veda nella natura i suoi kami, le sue divinità. Quando hai attorno una natura così imponente non puoi non averne paura e allo stesso tempo adorarla.
Sospettavo che la Lapponia - chiamiamola così per comodità ma cerchiamo di ricordarci che si chiama Sapmi perché è la terra dei Sami e devono essere loro a dare il nome al luogo in cui vivono - dicevo, sospettavo che la Lapponia mi sarebbe piaciuta molto: sono cresciuta a un’ora delle Alpi, ho imparato a sciare a cinque anni quando in Italia ancora nevicava tantissimo e ho sempre nutrito un timore misto a rispetto per quel mondo incantato e feroce che è la montagna. Mi sentivo pronta, insomma. Poi sono arrivata a Levi, in Finlandia, sopra al circolo polare artico, e fin dal momento dell’atterraggio ho capito che avrei vissuto un’esperienza totalmente nuova e sconosciuta.
Perché è proprio quella sensazione di essere nel mezzo del nulla (mentre in realtà sei nel mezzo del tripudio della natura d’inverno), quella sensazione di essere in un mondo lontano da tutto, ecco, è quella sensazione che ti fa capire la magia della Lapponia.
Levi è una minuscola stazione sciistica con più di cinquanta discese di sci alpino, una marea di percorsi di sci di fondo, un aeroporto che sembra uscito da una scatola di Lego e una natura che letteralmente ti travolge.
Ti travolge quando con il taxi arrivi all’hotel e c’è neve ovunque, sui pini di cui non vedi più il verde, sulle strade che non riescono mai a essere pulite d’inverno, sulle macchine che si svegliano la mattina con materassi bianchi sul tettuccio.
E fa freddo, certo: nei cinque giorni in cui siamo stati a Levi non siamo mai andati sopra lo zero, anzi siamo arrivati a -15, ma succede una cosa strana che purtroppo non so spiegare quindi la dirò così come mi viene: anche il freddo ti coccola. Anche il freddo fa parte di questo scenario da fiaba in cui tutto è perfetto: la neve che di giorno è glitterata e di notte illumina la strada, il cielo che per quattro ore rimane rosa come se un incantesimo impedisse al sole di alzarsi obbligandolo a un lunghissimo e struggente tramonto, e il silenzio. Un silenzio che - te ne rendi conto quando sei là - non hai mai sentito prima.
E quindi in questo paesaggio cristallino in cui ogni colore è definito come nei dipinti dei pittori fiamminghi siamo andati in motoslitta a una fattoria delle renne dove un allevatore Sami ci ha raccontato il rapporto prezioso che esiste fra il suo popolo e questi animali semi-selvatici, abbiamo guidato le slitte trainate dagli husky perdendo la testa per i cani nel momento in cui abbiamo potuto coccolarli e ringraziarli, abbiamo visitato il bosco degli Elfi di sera lasciandoci guidare dalla musica e dalle luci come in una fiaba, abbiamo bevuto il succo di mirtillo caldo di notte attorno al fuoco aspettando l’aurora boreale e siamo anche andati al museo della cultura Sami dove Ante Aikio, il presidente del museo, ci ha raccontato la storia della sua famiglia e ha cantato gli yoik - l’antico canto dei Sami - dal vivo accompagnato solo dal suo tamburo.
Non abbiamo visto l’aurora boreale, non abbiamo foto con raggi verdi e viola da postare sui social e se prima della partenza mi avessero detto che non l’avremmo vista mi sarei preoccupata e ci sarei rimasta male ma la realtà è che con tutta questa natura, con questo cielo rosa, con il vento e il freddo che ti prendono e ti tengono fra le braccia, ecco, l’aurora boreale sarebbe stata un dettaglio. Bellissimo di sicuro, ma un dettaglio.
L’allevatore Sami che abbiamo incontrato alla fattoria ci ha detto che le renne in primavera tornano libere. Dopo un inverno passato nelle fattorie, in primavera torna a essere facile trovare il cibo senza l’aiuto degli uomini e torna quindi la libertà. Libertà controllata però, perché ogni renna appartiene a un allevatore e quindi uno degli animali del branco ha un collare con un gps così i proprietari possono vedere gli spostamenti e soprattutto possono andare a recuperarle alla fine dell’autunno nel caso in cui un gruppo non riesca a tornare ai recinti (cosa rara perché le renne hanno un ottimo senso dell’orientamento, capiscono quando comincia a scarseggiare il cibo e sanno che gli umani le nutriranno).
Gli allevatori però non restano molto lontano: durante i mesi caldi tengono la situazione sotto controllo e grazie a elicotteri e droni cercano di vedere se nella zona dove ci sono le loro renne si aggira un predatore. E succede, succede spesso: orsi bruni, ghiottoni e lupi sono i nemici più feroci. E allora il Sami prende la sua macchina e va dove c’è il predatore, va a difendere le sue renne.
«Come fate a difenderle?», ho chiesto al ragazzo che ci raccontava tutto ciò, immaginando l’ovvio: un fucile.
«Vado dove c’è il predatore e lo rincorro in macchina. Anche per centinaia di chilometri. Lo rincorro e lo costringo a spostarsi, a cambiare zona, ovviamente cercando di non spingerlo in territori occupati da renne di altri allevatori.»
«Quindi non lo uccide?»
«Non lo uccido. Non uccidiamo i predatori.»
Avevo la tazza con il succo di mirtillo che mi scaldava le mani, il fuoco scoppiettava al centro del kote, la tipica tenda Sami, fuori dal kote c’erano neve e vento, e il richiamo della foresta, il richiamo delle terre selvagge, delle terre in cui sia gli husky sia le renne tornano a correre appena arriva la primavera, il richiamo di una vita di millenni fa, del fuoco, del freddo e della completa comunione con la natura, ecco forse quel richiamo per un attimo l’ho sentito anche io. E adesso che sono tornata a casa mi manca moltissimo.
* Il pezzo de Il richiamo della foresta di Jack London è tratto dalla meravigliosa traduzione di Michele Mari, Bompiani.
Tre T(R)IPS sulla Lapponia:
Il primo consiglio che voglio darti sulla Lapponia in realtà è una richiesta: negli ultimi anni il turismo in Lapponia è aumentato molto ed è bellissimo che così tante persone vogliano andarci ma ti prego, non andare in Lapponia senza cercare di imparare qualcosa sui Sami. Chiedi al tour leader che ti porterà nel Sapmi di parlarti di questa cultura così interessante, una cultura che ha rischiato di essere completamente cancellata tanti anni fa e che oggi grazie all’impegno dei Sami sta ritrovando una voce. I Sami sono l’unico popolo indigeno ancora esistente in Europa, la loro mitologia è interessantissima, la loro storia è una storia di resistenza e sono convinta che ascoltare i Sami - ascoltare un popolo che per secoli è stato zittito - sia il modo giusto per onorarli.
Se poi vuoi venire nel Grande Nord con me, sappi che con Volver organizzerò un altro tour della Lapponia finlandese a fine gennaio 2026.Per prepararmi al tour in Lapponia ho studiato su vari documenti di studiosi dei Sami e ho anche letto alcuni libri interessanti. Il richiamo della foresta di Jack London non ha nulla a che fare con i Sami né con la Finlandia ma racconta di quel forte legame con la natura di cui ho scritto sopra; Intorno al fuoco - Fiabe e storie dalla terra dei Sami e Fiabe finlandesi, entrambi pubblicati da Iperborea, sono stati essenziali - come sono sempre le fiabe - per entrare nell’atmosfera di quelle terre; L’ultimo lappone di Olivier Truc è un poliziesco che racconta molto bene la vita e le istanze dei lapponi; Vita del lappone di Johan Turi è una straordinaria testimonianza della vita nel Sapmi; La ragazza delle renne di Ann-Helén Laestadius è un romanzo contemporaneo molto scorrevole che permette di seguire la vita dei lapponi oggi.
Guarda Frozen 1, e poi guarda Frozen 2. E nota le differenze. Per il primo episodio Disney si è ispirata ai lapponi ma senza mai entrare in contatto con loro mentre per la scrittura del secondo episodio si è creata una bellissima cooperazione fra gli sceneggiatori Disney e un gruppo di studiosi, artisti, sceneggiatori, sociologi e anziani Sami. Ne è uscito non solo uno dei più grandi successi di Disney ma anche un film complesso e profondo che dagli esperti è ritenuto il primo film d’animazione con un vero intento di risarcimento morale nei confronti di una popolazione indigena. Anche in questo caso ho letto molti documenti che parlano dell’argomento, soprattutto testi che ho trovato nei database delle università americane, se ti interessa li condivido!
I miei progetti:
Ho appena lanciato con Volver il nuovo viaggio in Giappone del 2025: dall’11 al 24 novembre saremo di nuovo nel paese del Sol Levante per visitare Tokyo, Kyoto, Kamakura, Osaka e Hiroshima e per innamorarci di questa cultura così affascinante. Come sempre sarà un viaggio culturale pieno di spunti, di letture e di esperienze. Le iscrizioni sono già aperte, se vuoi bloccare il tuo posto leggi qua e scrivimi!
Sono ancora aperte (per pochi giorni) le iscrizioni al viaggio in Kerala, India, dal 24 aprile al 4 maggio 2025: qua trovi tutti i dettagli, se ti interessa scrivimi!
Se vuoi avere tutti gli aggiornamenti sui miei viaggi futuri seguimi su Instagram!
Come sempre puoi dire a tutti che esiste T(R)IPS
e se non sei ancora iscritto/a puoi farlo qua!
Sempre bellissimo ❤️
Che bella puntata Valentina, grazie per averci portato nella terra dei Sapmi tramite le storie - io ho scoperto che quella terra si chiama così lo scorso dicembre, in un episodio del podcast Globo con un'intervista a Valentina Tamborra.
E grazie anche per avermi fatto scoprire le differenze di costruzione di "Frozen" e "Frozen 2": se hai qualche fonte diretta per approfondire il confronto, mi piacerebbe proprio leggerle.