Questa newsletter inizia con un’immagine e con una canzone. La canzone è Drinking in LA dei Bran Van 3000 e nell’immagine c’è un locale di Lisbona, e c’è un gruppo di ragazzi con dei drink in mano e poi ci sono io. Quelli sono i miei amici, quella è la mia vita, ed è il 1998.
Solo che quella scena non è mai esistita se non nella mia testa: avevo appena vinto la borsa Erasmus a Lisbona, il professore che mi aveva spinta a concorrere per quella borsa mi aveva parlato di questo locale, Alcantara Mar, e io me ne andavo in giro per Torino con i Bran Van nelle orecchie immaginando la mia vita qualche mese dopo: io, gli amici, i drink, la musica.
Perché la mia vita a ventidue anni era questo: ero io in mezzo a un gruppo di persone. Non esisteva ancora quella persona con i contorni ben definiti che sono oggi, quella persona che ha bisogno di solitudine e di silenzio quanto di parole e di abbracci. Io a ventidue anni esistevo perché esistevano le mie amiche e i miei amici, le panchine di pietra bianca davanti all’università, le sigarette fumate in collina osservando Torino e le sue strade piene di movimento mentre la nostra giornata si dilatava a seconda della noia e delle risate, le serate che volavano sulle note della musica che sentivamo nei locali e sul suono delle parole in macchina sotto casa alle tre di mattina.
Ieri durante la seduta la mia psicologa mi ha fatto una domanda e io per rispondere ho dovuto iniziare proprio da lì, dai miei vent’anni, dall’università e da un’amicizia speciale, quella con Mimmo e Mattia, e da quella volta in cui mi hanno prelevata da casa e portata in montagna durante le vacanze di Natale e per dieci giorni hanno fatto di tutto per farmi ridere e per costringermi a non pensare a quel ragazzo che mi aveva lasciata il 25 dicembre. Parlavo e piangevo in quella vacanza, ed ero disperata. Parlavo e piangevo anche ieri con la psicologa, e la mia non era tristezza. Era una pura, purissima emozione: credo di avere da qualche parte nel cuore dei ricordi così belli e così intensi che ogni volta che vado a toccarli da lì escono lacrime, come linfa.
Mi avevano detto tante cose dell’essere mamma ma non mi avevano avvertito di un rischio: il rischio della nostalgia.
Ho una figlia quasi sedicenne che vive la sua vita immersa nel suo gruppo di amici e nel suo amore ed è bellissimo ascoltarla, osservarla, vedere i suoi occhi brillare e sentire la sua risata al telefono quando si chiude in camera e io casualmente passo davanti alla porta per capire se va tutto bene. È bellissimo e allo stesso tempo è uno tsunami per una come me che evidentemente nel dna ha la saudade.
Mi sono sempre chiesta cosa o chi mi abbia fatto questo impianto nel dna: forse i dodici mesi passati in Portogallo, che è la terra della saudade, forse ciò che ho studiato negli anni di quel liceo classico difficile e stupendo che ho frequentato, dal dialogo di Ettore e Andromaca alle poesie di Montale, o forse ancora c’è un modo di essere famiglia che ti trasmette l’affetto per la nostalgia, il valore del racconto, del ti ho mai detto cosa successe al nonno durante la seconda guerra mondiale?. Non so. So però che la nostalgia, anzi la saudade, è un pezzo di me, non mi ha mai impedito di guardare al futuro e allo stesso tempo mi ha sempre mantenuta in contatto con le mie radici e con le mie esperienze, e quando Guia ha cominciato a uscire con il suo gruppo di amiche e ancora di più quando si è innamorata mi sono subito accorta che quella parte di me stava facendo rumore, come il rumore del mare dentro alle conchiglie solo che è come se mi avessero appiccicato la conchiglia all’orecchio, e allora ho iniziato a farmi delle domande: che cosa ti manca di quei tempi? Che cosa vorresti che oggi non hai?
E ho capito che c’è una cosa che mi manca, una sola cosa che oggi non ho e non potrò mai più avere e che non potrà più avere nessuno dei miei coetanei: quella sensazione di diventare intera solo all’interno del mio gruppo di amici. Quella sensazione di avere bisogno dei miei amici per esistere, per ridere, per capire, per vivere. E attenzione, MENO MALE che a quasi cinquant’anni mi manca questa sensazione: non avrei potuto costruire la mia vita se non me ne fossi liberata e se non avessi abbracciato il diventare una donna in grado di andare per il mondo da sola.
Ma mi manca, e mi manca in modo adolescente e capriccioso quel concetto di gruppo, di amicizia, di confidenza, di fiducia. Vorrei per un giorno o per una settimana vivere ancora quella mia timidezza che svaniva quando ero con loro, quelle serate assurde e rischiose in cui ci sembrava di essere onnipotenti, quel linguaggio stupido che i miei genitori non capivano, quei segreti che condividevamo al telefono mentre le nostre mamme passavano casualmente davanti alle porte chiuse delle nostre camere.
Oggi ho amiche e amici che sento e vedo e che sono sempre preziosi ma la mia vita non è più in quella dimensione, non sono più loro le pareti e l’aria del luogo in cui vivo: lo sono mio marito, le mie figlie, il mio lavoro ma soprattutto ho imparato a essere io individuo e mondo per me stessa, ho imparato a non dipendere da nessuno e non sono nemmeno più timida, e come faceva mia madre alla mia età non ho paura di chiedere informazioni o di fare domande alla gente che non conosco - e proprio come me all’epoca, mia figlia adolescente si vergogna tantissimo della mia sfacciataggine, che poi è solo aver imparato un po’ a vivere.
In questa newsletter in teoria io parlo di luoghi e mi chiedo di quale luogo vi abbia parlato oggi ma forse in fondo vi ho portati in un luogo, nel luogo del tranquilli siam qui noi - è dall’inizio che mi gira in testa Gli anni di Max Pezzali - in quel luogo che più o meno tutti abbiamo frequentato e che ci ha costruiti, quel luogo senza il quale non saremmo ciò che siamo oggi: l’amicizia dei vent’anni, l’amicizia di quando ancora potevi essere tutto, esattamente come disse Michela Murgia, quell’amicizia unica e irripetibile che può solo esistere a quell’età, che non è l’amicizia pensata e selettiva degli adulti ma è l’amicizia leggera e stupida, inutile e fondamentale, sempre sull’orlo della crisi e con gli occhi sull’infinito proprio come è l’adolescenza.
In tanti hanno cercato di definire la parola saudade ma la definizione migliore rimane quella di Antonio Tabucchi: in Viaggi e altri viaggi consiglia di andare in rua da saudade a Lisbona e di mettersi ad ammirare il panorama, possibilmente al tramonto ma vanno bene anche certe sere di nebbia atlantica, quando sulla città scende un velo e si accendono i lampioni, e poi dice di fare attenzione alla sensazione di struggimento che si proverà.
La vostra immaginazione, facendo uno sgambetto al tempo, vi farà pensare che una volta tornati a casa e alle vostre abitudini vi prenderà la nostalgia di un momento privilegiato della vostra vita in cui eravate in una bellissima viuzza di Lisbona a guardare un panorama struggente. Ecco, il gioco è fatto: state avendo nostalgia del momento che state vivendo in questo momento. È una nostalgia al futuro. Avete sperimentato la saudade.
Ed è a questo punto che capisco perché proprio quegli anni, quelli in cui si poteva ancora essere tutto, possono essere una esplosione di nostalgia senza fine: perché a vent’anni non ci fermavamo ad ammirare il panorama, non perdevamo tempo a cercare la rua da saudade della nostra vita, eravamo troppo impegnati a vivere e a correre e a stare insieme e a sapere che saremmo stati sempre amici e quindi nessuno di noi - nessuno - ha mai provato una nostalgia al futuro, nessuno si è mai fermato a pensare un giorno tutto questo mi mancherà tantissimo, e dire che a me veniva anche detto, mi ricordo i miei genitori che mi dicevano esattamente questo, mi dicevano questa è l’età più bella, goditela, ma che cosa importava a me, io potevo ancora diventare qualsiasi cosa, avevo tutta la vita davanti, e come dice Paolo Sorrentino in Hanno tutti ragione, la porca verità è che capisci cosa significa avere la vita davanti quando quella si è posizionata tutta dietro.
E quindi ecco qua, la gita di oggi è finita, e perdonatemi se non vi ho consigliato ristoranti o hotel o caffè imperdibili: avevo bisogno di fare un viaggio con voi in questo luogo che sono stati i miei - i nostri - vent’anni.
Ma forse un consiglio vorrei darlo a me a voi, e come spesso succede nella vita quel consiglio arriva dalla letteratura, in questo caso da Antonio Tabucchi: forse dovremmo andare a cercare la rua da saudade del nostro oggi e dovremmo fermarci ad ammirare il panorama di tutto ciò che abbiamo e amiamo ed è il nostro mondo e poi dovremmo respirare a fondo, fare uno sgambetto al tempo e renderci conto che in futuro potremmo provare nostalgia per questo momento della nostra vita.
…Ecco, il gioco è fatto: abbiamo sperimentato la saudade.
Tre T(R)IPS sulla nostalgia:
Saudade, nostalgia, malinconia: sembrano sinonimi e non lo sono e per ragionare su tutto ciò che gira attorno a questi sentimenti vi consiglio un saggio che ho amato molto, Il dono della malinconia, di Susan Cain, pubblicato da Einaudi. Quando lo leggerete non potrete più smettere di pensare al concetto di dolceamarezza.
Mi stupisco sempre di non sentir parlare abbastanza di Paolo Sorrentino come scrittore: leggere Tony Pagoda e i suoi amici e Hanno tutti ragione è stata una delle esperienze più divertenti della mia vita. Quella vena di malinconia che pervade tutti i suoi film è nei suoi libri ancora più evidente, ancora più pulsante, ed è unita a un’ironia unica (Tony Pagoda vi mancherà).
Ci sono trattati filosofici che cercano di spiegare il legame della cultura portoghese con la saudade e alcune delle riflessioni sul tema le racconto durante i miei weekend a Lisbona. Se però non potete partire con me a ottobre (sotto potete vedere quando), vi consiglio di leggere un saggio di uno dei più grandi pensatori portoghesi, Eduardo Lourenço: Il labirinto della saudade: il Portogallo come destino. Una lettura storico-filosofica molto interessante.
I miei progetti:
A fine marzo chiuderemo le iscrizioni per il weekend letterario a Parigi: dal 15 al 18 maggio sarò nella capitale francese per raccontare la Parigi della Lost Generation. Ernest Hemingway, Francis Scott Fitzgerald, Sylvia Beach, James Joyce, Gertrude Stein e tanti altri. Tutte le informazioni qua.
Arriva un altro weekend a Lisbona! Per ora ho solo le date: dal 23 al 26 ottobre 2025. Ci sentiamo per i prossimi dettagli ma in caso di interesse scrivetemi!
È rimasto un solo posto libero in camera doppia condivisa con un’altra partecipante per il tour in Giappone di novembre 2025: tutte le informazioni sono qua.
Ciao!
Per dire a tutti che esiste T(R)IPS:
grazie per questo viaggio! sempre bello viaggiare nelle tue parole!
Davvero bellissimo questo scritto, sembrava parlasse anche di me! Grazie!