L'Alentejo: uno strano concetto di finis terrae
Storia, natura, vino e lentezza: il cuore del Portogallo è un luogo alla fine del mondo.
Il navigatore era impazzito e io mi sono ritrovata su una strada sterrata a pochi metri dall’ingresso di una tenuta agricola. Sono scesa dall’auto. Attorno solo prati e campi e mucche e sopra di me un cielo azzurro con nuvole bianche che sembravano uscite da un cartone animato. Mi è sembrato per un attimo di essere al centro di un mondo perfetto che girava e girava e nel farlo mi riempiva di felicità. Eravamo lì in silenzio io, la natura e quel luogo incredibile e maestoso che è l’Alentejo.
Questo succedeva esattamente un anno fa durante il mio viaggio in solitaria (ho già raccontato il mio amore per la solitudine) alla scoperta della regione portoghese in cui poi ho organizzato due tour. L’Alentejo, appunto. La regione più vasta del Portogallo, la regione meno popolosa, la regione che per me è il cuore vero del Portogallo: una terra piena di radici profonde fatte di storia, canti, cibo e vino.
Sono stata per la prima volta in Alentejo nel 1999 durante il mio Erasmus a Lisbona: i miei genitori erano venuti a trovarmi e avevamo fatto un giro insieme, eravamo andati a Obidos e Tomar e poi giù verso Évora, Monsaraz e poi di nuovo a Lisbona. Quando mio padre si è ammalato, sei anni fa, la mia mamma e io una sera a cena siamo andate a pesca di ricordi. Sai quando vai a pesca di ricordi perché il presente fa male e il passato è una medicina? Ecco. Quella sera del 2018 attorno al tavolo c’eravamo noi due e su quel tavolo c’erano tanti ricordi, tante risate, tante avventure, e la stragrande maggioranza di quei ricordi arrivava dai viaggi. Perché quando ci si chiede che senso ha viaggiare non bisogna mai dimenticare che nel mare scuro degli anni che passano, i ricordi che verranno a galla saranno i più luminosi, quelli vissuti in luoghi e momenti speciali.
Ma torniamo a quel giorno di giugno del 1999. I miei genitori arrivarono a Lisbona e la mattina dopo partimmo per il nostro viaggio. Non ricordo moltissimo perché la sera prima avevo avuto la straordinaria idea di fare le sei del mattino alla festa dell’università, non proprio da astemia.
Ricordo molto bene però quando due giorni dopo entrammo in Alentejo. Arrivammo verso l’ora di pranzo e ci fermammo nel primo paesino che trovammo, nel primo bar che trovammo. Avevo ventidue anni e tanti sogni di modernità e tanta voglia di andare a vivere in un grattacielo di New York (cosa che peraltro non ho mai fatto) ma avevo anche ricevuto un’educazione piemontese fatta di domeniche nel Monferrato e nelle Langhe, fatta di cibo che racconta storie, e fatta di vino rosso corposo che fa da colonna sonora a quelle storie.
In quel paesino minuscolo dell’Alentejo mi sentii immediatamente a casa. E mi sentii a casa anche poche ore dopo, arrivando a Évora, meraviglia medievale che in primavera è un tripudio di ocra e lilla, e ancora di più a Monsaraz, un villaggio fortificato che oggi non ha più senso di esistere se non per quella cosa vitale e importantissima che è raccontare la Storia.
Storia che si unisce alla natura selvaggia e pervade e colora l’Alentejo: una storia fatta di secoli di lotte contro le invasioni, una storia che sulla mappa è letteralmente disegnata dalle tante cittadine fortificate e dai castelli che si trovano lungo il confine con la Spagna, vicina di casa sempre troppo invadente e potente, cugina nemica che oggi il popolo portoghese accoglie con la sua usuale gentilezza ma dalla quale tiene a distinguersi quando - sbagliando - molti turisti ringraziano con un odiosissimo gracias al posto di obrigado.
Tornai in Alentejo poche settimane dopo con alcuni amici ma questa volta andammo sulla costa. Dormimmo due notti da una signora che affittava un pezzo della sua casa: non c’era elettricità, faceva freddo nonostante fosse ormai estate, e la costa alentejana era qualcosa che la gente oltrepassava senza fermarsi, per poter andare in fretta in spiaggia in Algarve. Eppure era meravigliosa: spiagge lunghe di sabbia fine, onde altissime, piccoli bar di legno che servivano birra e panini al tonno, tramonti da brivido e un’atmosfera da isola deserta che per fortuna - anzi no, non per fortuna, grazie all’intelligenza di chi anni fa ha dichiarato la costa vicentina parco naturale - è ancora lì, intatta, cullata dal rumore dell’oceano.
Quando l’anno scorso ho sentito l’esigenza di ampliare l’offerta dei miei viaggi in Portogallo, ho pensato subito all’Alentejo. E ci ho pensato perché in Alentejo c’è tutto: c’è la storia, c’è la natura, c’è il mare e ci sono vini e cibi meravigliosi.
E poi in Alentejo c’è qualcosa che unisce tutti questi elementi, ed è qualcosa che in questi anni frenetici manca a tanti di noi: la lentezza.
La lentezza degli alentejani è mitica, è oggetto di battute e di racconti, ed è per me la prima qualità di questa terra straordinaria: in Alentejo tutto succede con calma, in Alentejo prima di tutto ci si sorride e si trova il tempo per la gentilezza, e poi si pensa agli impegni di tutti i giorni.
Frequento e amo Lisbona da più di venticinque anni eppure è in Alentejo che mi sono sentita più coccolata e più accolta, a partire da quel com licença con il quale le persone chiudono una conversazione al telefono, mille com licença insieme a mille saluti, un lungo addio anche per una piccola chiamata per prenotare una cena al ristorante.
C’è poi un’altra cosa che nel bene e nel male rende l’Alentejo speciale: in Alentejo, nella parte dell’entroterra, devi voler andare. Perché le strade dell’Alentejo - strade in gran parte, non autostrade - non portano da nessuna parte, se non a percorrere altre lunghe strade di campagna in terre quasi deserte per arrivare dopo ore e ore in città spagnole in cui si arriva molto più velocemente con altri mezzi. L’Alentejo è un concetto strano di finis terrae, un luogo alla fine del mondo in mezzo alla penisola iberica, un luogo cruciale secoli fa per la storia della penisola iberica e dell’Europa ma che oggi, proprio perché alla fine del mondo, si sta spopolando a una velocità impressionante.
Quando racconto la storia del Portogallo parlo sempre del suo essere una striscia di terra che per millenni, schiacciata da quel vicino di casa potente, è rimasta con lo sguardo rivolto agli oceani, e che grazie a questa postura è diventata il primo grande impero marittimo e ha vissuto secoli di gloria. Ma ogni volta che parlo di questa postura penso alla sua spina dorsale, fatta dei tanti villaggi e dei tanti castelli dell’Alentejo, penso alle sollecitazioni che ha subito e un po’ mi fa male - i luoghi, specialmente quelli splendidi, sanno fare male - sapere che le persone se ne stanno andando da lì.
È anche per questo motivo che sono felice di organizzare tour in Alentejo: per le persone che sono rimaste e per quelle che un giorno ritorneranno. Per le loro storie di resistenza e di tenacia. Per quella bellissima e ammaccata spina dorsale fatta di lentezza, orgoglio e gentilezza.
Tre T(R)IPS sull’Alentejo:
Non si può parlare dell’Alentejo senza parlare del capolavoro di José Saramago, Una terra chiamata Alentejo. Un romanzo che racconta tre generazioni di una famiglia di contadini alentejani e nel farlo racconta la storia del Novecento portoghese. Il titolo originale, Levantado do chão (alzatosi da terra), anticipa le vicende della famiglia Mau-Tempo meglio del suo corrispettivo italiano: in quella che è stata definita una saga dei vinti, Saramago racconta con enorme pietà e tenerezza ma anche con grande crudezza la storia dei contadini alentejani che lavoravano nei latifondi. E racconta anche le prime lotte contadine, fino ad arrivare a quegli anni ‘70 in cui il popolo portoghese riuscì finalmente ad alzarsi da terra.
È difficile descrivere con le parole la bellezza della natura dell’Alentejo quindi ti consiglio di andare a vedere questo breve e bellissimo video in cui l’Alentejo viene definito the perfect Portugal.
Se ti interessa partecipare a uno dei tour in Alentejo con me, rispondi a questa mail! Volver Tour Operator e io stiamo per lanciare un tour nel weekend del 29 settembre 2024 e vorremmo dare la precedenza nelle iscrizioni a voi iscritte e iscritti a T(r)ips. Come sempre ci guiderà sulle strade dell’Alentejo José Saramago con il suo Una terra chiamata Alentejo: visiteremo Évora, il capoluogo della regione, e Monsaraz, per poi andare verso il sud dell’Alentejo, fra Mertola e le miniere di São Domingos. Arriveremo infine sulla costa e passeremo due giorni in un resort sull’oceano dove fra le altre attività potremo andare a cavallo al tramonto su una di quelle spiagge enormi e bellissime di cui parlavo prima. Il tutto ovviamente mangiando e bevendo molto bene :)
Come sempre mi puoi seguire su Instagram, dove sono @ valesarastella e puoi raccontare a tutti che esiste T(R)IPS.
E se ancora non sei iscritto/a a T(R)IPS, puoi farlo qua: