L'instagrammizzazione del turismo e la perdita della profondità.
Oggi vi porto a scoprire un posto unico...NO.
Non ne ho mai acquistato uno (anche se, lo ammetto, sono stata tentata), ma immagino che i corsi per creare il perfetto reel di viaggio su Instagram suggeriscano di aprire sempre con una frase tipo «Ti porto in un posto speciale», alternato a «Quattro luoghi imperdibili a *città a scelta*», con scritte che si leggano bene anche dalla pagina Esplora, possibilmente gialle o rosse, e immagino che suggeriscano di chiudere con una domanda engaging tipo «E tu cosa ne pensi? Scrivimelo nei commenti», o «Dimmi i tuoi quattro posti del cuore». Lo immagino perché quasi tutti i reel che mi capitano sul feed di Instagram, soprattutto ora che riceviamo più contenuti di account che non seguiamo, sono fatti così: ti portano in uno o più posti speciali e sperano che tu faccia like, salvi il video, commenti anche solo con un cuoricino o - gioia suprema - lo condivida nelle tue storie.
E non c’è niente di male. Ci sono strategie e teorie per tutto: persino per scrivere un romanzo bisogna studiare come farlo. Non basta saper scrivere: l’autore o l’autrice che immaginiamo seduta alla scrivania durante serate alcoliche piene di disperazione e ispirazione è spesso una persona che sì, certo, ha talento, ma ha imparato le strategie migliori per usare quel talento e soprattutto ha studiato come si costruisce e come si struttura un romanzo.
Quindi è normale che si studi per creare un reel che funzioni. Un po’ meno normale è che il mondo del turismo (uso la parola turismo perché è un settore, e non sarò di certo io a fare la distinzione fra turista e viaggiatore, distinzione che non sopporto), dicevo, un po’ meno normale è che una grande parte del mondo del turismo si sia appiattita su quel modo di comunicare, sul modello «Quattro angoli imperdibili a Vienna, se ti è piaciuto questo video fai like e dimmi cosa ne pensi nei commenti!».
Ho lavorato dieci anni nel marketing di due grandi aziende: so perfettamente che per vendere devi stare dove è il consumatore e devi parlare la sua lingua, e so che pochissimi prodotti possono permettersi di stare sulla cima della montagna e aspettare che i consumatori affrontino una strada ripida e impervia per raggiungerli e che magari assumano un interprete per capirli. Era così nel primo decennio del 2000, quando appunto lavoravo in ufficio, e lo è ancora di più oggi, in un mondo in cui - dopo anni di disperazione da parte dei centri media per la fuga degli spettatori dalle sette reti tv principali e la conseguente parcellizzazione dell’audience - siamo, stiamo, tutte e tutti per ore negli stessi luoghi: i social. Più nello specifico, i due-tre social ancora vivi. E ci stiamo con lo sguardo rapito che secondo me nessuno, a parte i nostri nonni e le nostre nonne negli anni ‘50, ha mai avuto davanti alla televisione.
È normale quindi che oggi per vendere qualsiasi cosa si stia sui social. Il punto però sta proprio in quel verbo: vendere. Cosa si sta vendendo nel mondo dei viaggi e del turismo sui social? E cosa si sta svendendo?
Qualche giorno fa ero a Parigi e con la mia famiglia sono passata davanti a un negozio che conosco da anni: è un minuscolo negozio di perline e accessori per creare bigiotteria. Davanti c’era una fila di almeno venti persone, e dato che sono curiosa, mi sono messa anche io in coda. Mia figlia mi ha spiegato che quel posto è virale da tempo su TikTok e quando è arrivato il nostro turno era quasi l’ora di chiusura e la proprietaria ci ha detto «Passate voi e poi basta». Le persone dietro di noi hanno cominciato - giuro - a supplicare di entrare, parlando di aerei in partenza e di urgenze varie, giurando che ci avrebbero messo solo due minuti, e a quel punto le mie aspettative hanno raggiunto livelli altissimi. Siamo entrate: era un negozio di perline, appunto, come è sempre stato negli ultimi anni. Un negozio di perline come ce ne sono tanti nella zona. Era solo diventato virale.
Potrei andare avanti con luoghi diventati virali partendo da Lisbona a maggio con i suoi meravigliosi alberi di jacarandas per arrivare poi al tanto raccontato Giappone, ai ciliegi in fiore e al Monte Fuji, passando per i vari luoghi imperdibili che affollano la mia pagina Esplora di Instagram, ma vorrei tornare al nocciolo della questione: con tutta questa viralità legata ai viaggi, cosa si sta vendendo esattamente?
La risposta è tanto semplice quanto triste: si stanno svendendo alcuni luoghi e alcune esperienze per guadagnare like, follower e commenti, per guadagnare notorietà e quindi potere.
Attenzione, non dico che tutte le persone che parlano di viaggi sui social usino questo sistema: ci sono account che adoro e che seguo e ce ne saranno tantissimi altri che non conosco che raccontano i luoghi in modo originale e profondo e che magari poi - meno male! - riescono anche a essere molto seguiti. Ma per ognuno di questi ce ne sono tanti altri che non accennano a comprendere né tantomeno a raccontare la profondità o le complessità di un luogo. Il luogo per questi account è funzionale alla loro crescita sui social, e non è un posto in cui la gente vive, un posto con una storia e con tante storie da raccontare: è un’immagine da appiccicare al muro, uguale a quelle di milioni di altri utenti, una fotografia che viene scattata per anni sempre più freneticamente finché poi per esempio l’amministrazione di una cittadina del Giappone decide di mettere uno schermo scuro per impedire alle persone di fotografare qualcosa che era diventato, appunto, virale: il monte Fuji in secondo piano, il mini market Lawson in primo piano. E lo decide - privando anche gli stessi abitanti di quella vista, fra l’altro - non per fare un dispetto ai turisti ma perché tanti di quei turisti non hanno saputo rispettare le regole e la quiete della zona. Non hanno saputo rispettare la profondità di quel luogo e della sua comunità.
Quando è partita l’avventura dei viaggi LuzBoa, la mia ex socia Chiara Formenti e io abbiamo fissato le regole del progetto, regole che si riassumono ancora oggi (Chiara è sempre una delle mie più care amiche ma si occupa di altro, soprattutto di questioni politiche, e vi consiglio di seguirla) con le 3C: Cura, Comunità, Cultura.
In una Lisbona che dopo il covid stava tornando a essere invasa dai turisti, soprattutto nei suoi punti più famosi, LuzBoa ha deciso di allontanarsi da quei punti (per dire, non porto più i gruppi al Miradouro de Santa Luzia o al Portas do Sol) per definirsi a partire da una frase di una canzone di Caetano Veloso:
quando a gente gosta, é claro que a gente cuida
quando amiamo, è chiaro che ce ne prendiamo cura.
Quindi la C di cura: prendersi cura del luogo in cui portiamo i gruppi, trattarlo con amore.
Da qui la C di comunità: per prendersi cura di un luogo bisogna conoscere chi lo abita, chi l’ha reso vivo e profondo e l’ha riempito di storia e di storie. Quindi studiare e parlare con le persone per poi poter raccontare ai gruppi non solo la storia, le battaglie, i re e le regine ma anche le vicende attuali, le fatiche e i successi, e invitare i gruppi a rispettare profondamente le comunità che visitiamo, per quanto diverse da noi possano sembrare.
Infine la C di cultura: cultura che non vuol dire proporre viaggi esclusivi solo a persone colte, ma vuol dire studiare e conoscere la cultura di un luogo per poterlo comprendere meglio, cultura che va dalla letteratura all’arte passando per il cibo e le voci che si sentono stando seduti in un caffè in una zona tranquilla del luogo che visitiamo. Fare esperienza della cultura di un luogo.
Quando passo il tempo incantata dai reel I quattro posti imperdibili di *città a caso* - perché di fatto incantano, sono semplici, visto il primo posto, anche se non è imperdibile, vuoi arrivare fino al quarto o al settimo - a un certo punto mi risveglio dall’incantesimo infastidita e invidiosa: potrei fare anche io video così, e potrei vedere i miei follower crescere. Poi però mi chiedo anche: quello che è straordinario per me è straordinario anche per chi mi segue? La *magia* di un luogo non è data forse dall’esperienza, dall’immergersi (pure in modo virtuale eh, ma il turismo virtuale è un’altra storia che merita una newsletter a parte) nei suoni, nelle immagini, nelle parole e negli odori di quel luogo? Come faccio io in meno di 45 secondi (perché gli esperti ti dicono che i reel non possono durare di più, la gente si stufa) a raccontare un luogo per me speciale? Come faccio a raccontare in 45 secondi che in un bar minuscolo di Nakano Broadway, con le sedie minuscole e il caffè bollente, con le proprietarie tanto sorridenti, in quella Nakano Broadway che è tutta negozi e consumismo, ho provato la sensazione di essere in un posto unico, ho fatto un’esperienza profonda di ciò che è il Giappone per me e quel momento non me lo dimenticherò mai? Risposta: non posso. Almeno, non in meno di 45 secondi. E poi, una nota personale: probabilmente non avrei potuto provare ciò che ho provato se fossi stata impegnata a fare video perfetti per un reel perfetto.
Io non so cosa succederà nel settore del turismo, non so se i social smetteranno di essere ripetitori di contenuti piatti e uguali che provocano over turismo e frustrazione in alcuni posti del mondo, e non so se avranno la meglio i contenuti più complessi e profondi, quelli che rispettano l’essenza di ciò che si visita.
So però che da quell’incantesimo dei reel che mi portano nei posti speciali, superato il fastidio, superata l’invidia e la voglia di avere tanti follower, torno sempre - con grande sollievo - a ciò che sono e a ciò che so fare, e cioè al luogo delle mie 3C, e torno alla consapevolezza che chi parla di viaggi ma ancora di più chi porta le persone in viaggio ha la grande responsabilità di spingere quelle persone a farsi domande più che opinioni, a fare attenzione alle parole più che all’inquadratura giusta, ad avere uno sguardo che cerca di approfondire, perché ormai lo sappiamo: i nostri telefoni, anche i più recenti, hanno un grande problema con la profondità.
Tre T(R)IPS sull’argomento:
Fra i tanti account che raccontano i luoghi con attenzione e cura che seguo sui social ho deciso di segnalarne uno che non usa parole ma immagini e video, e lo fa con una maestria unica: Sam Youkilis.
Una newsletter su un’area geografica caratterizzata da più culture: Ibérica ogni settimana racconta una parte interessante della Spagna o del Portogallo. Un ottimo modo per conoscere i luoghi (luoghi che adoro, fra l’altro) in modo intelligente e interessante.
Credo che siano state tante le persone e le vicende che mi hanno aiutata a “educarmi” al viaggio, dalla mia famiglia a mio marito passando per i miei amici, ma non posso non nominare qua una persona grazie alla quale ho imparato a osservare anche i paesaggi più belli da un altro punto di vista: la mia cara amica Marta Ciccolari Micaldi, la McMusa, che di sicuro conoscete già ma che potete trovare anche qua.
A proposito di social, come sempre mi puoi seguire su Instagram, dove sono @ valesarastella e puoi raccontare a tutti che esiste T(R)IPS.
E se ancora non sei iscritto/a a T(R)IPS, puoi farlo qua:
Ciao Valentina, grazie mille per la menzione e per la bella newsletter. È tutta, come dici tu, questione di cura e di responsabilità. E per entrambe, ci vuole tempo. Aggiungo un altro tassello: in tanti luoghi digitali, Tiktok per primo, andiamo verso la spersonalizzazione e la ripetizione del format (è surreale sapere che quando inizi a seguire una persona, paradossalmente te ne verranno consigliati sempre meno contenuti, e che una volta trovato il format “che funziona”, questo format verrà spremuto fino alla noia). In altri, c’è un tentativo di fare il contrario, e Substack (almeno in Italia, almeno per ora) mi sembra uno di questi. Teniamocelo stretto e trattiamolo con cura, finché dura.
Io credo che, se si è in grado di raccontare un posto come lo fai tu, l'attenzione non può durare solo 45 secondi. Bellissima puntata, grazie per queste riflessioni sempre più fondamentali.